Nel corso del 2013 conosceremo:
MARGARET ALICE MURRAY - FLAVIO CLAUDIO GIULIANO - ALEX
SANDERS - CHARLES GODFREY LELAND
per leggere le loro biografia basta scorrere la pagina
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CHARLES GODFREY LELAND
Filadelfia 15 agosto 1824 - Firenze 20 marzo 1903.
Nel 2013 ricorrono i 110 anni dalla sua morte.
Fu giornalista, folclorista e appassionato di antropologia.
Charles Godfrey Leland nacque a
Filadelfia il 15 agosto 1824 e morì a Firenze il 20 marzo 1903.
Fu un folclorista e un
giornalista famoso per gli studi antropologici sulla religione etrusco-romana ma
anche su altre culture, come quella degli zingari e degli indiani d’America.
Leland fu uno dei primi ad
interessarsi dei culti precristiani e affermò di aver rivelato in Italia un
superstite culto stregonesco derivato dalla cultura etruscoromana.
Charles Godfrey Leland ebbe fin
da piccolo contatti con la stregoneria, si dice che la sua bambinaia
(irlandese) lo rendeva partecipe a strani riti occulti.
Studiò prima a Princeton, poi per
due anni in Germania a Heildelberg e a Monaco. Nel 1848, il suo carattere
ribelle lo portò a partecipare, a Parigi, alla Terza Rivoluzione Francese, al
fianco dell’occultista Eliphas Levi.
Leland non nascose mai le sue idee
anarchico-socialiste.
Tornato in America, nel 1853
si mise a studiare diritto e in seguito divenne giornalista.
Nel 1869 ricevette una
cospicua eredità dal padre che gli consentì di potersi dedicare pienamente alle
sue ricerche antropologiche, la sua vera passione.
Studiò sul campo le tradizioni
degli indiani d’America e la magia Voodoo.
Nel 1870 si trasferì in
Inghilterra, dove studiò la cultura degli zingari e collaborò anche con lo
scrittore esoterico Bulwer Lytton.
In Francia si dedicò alla
ricerca sulle streghe delle campagne, convincendosi che la stregoneria rappresentava
una forma di ribellione sociale.
Nel 1888 si trasferì in
Italia, a Firenze, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 20 marzo 1903, a
settantanove anni, pochi mesi dopo la scomparsa di sua moglie Isabel.
Leland fu un personaggio eclettico,
curioso e alquanto bizzarro: era convinto di avere un’antenata strega, aveva un’immensa
collezione di libri, documenti e reperti sul folklore di vari paesi e culture,
conosceva molte lingue ed era un bravo disegnatore. Camminava sempre con le
tasche piene di amuleti ma, seppur incuriosito dall’occultismo, non era affatto
un credulone e si compiaceva di far la parte dello scettico.
Insieme ad Angelo De
Gubernatis, specialista di sanscrito e di storia comparata delle reli gioni,
Leland promosse nel 1893 la nascita della Società Italiana di Folklore e della
“Rivista delle tradizioni popolari italiane”.
Nel corso della sua intensa
esistenza fondò varie associazioni e scrisse oltre cinquanta libri tra cui:
1855: Meister Karl’s Sketchbook
1864: Legends of Birds
1871: Hans Breitmann Ballads
1872: Pidgin-English Sing-Song
1873: The English Gipsies
1879: Johnnykin and the Goblins
1882: The Gypsies
1884: Algonquin Legends
1891: Gyspsy Sorcery and Fortune Telling
1892: The Hundred Riddles of the Fairy Bellaria
1892: Etruscan Roman Remains in
Popular Tradition (un’edizione italiana è stata pubblicata in due volumi
dall’editore Rebis nel 1997 con il titolo Il Tesoro delle Streghe e un’altra
parziale edizione, intitolata Streghe, esseri fatati ed incantesimi nell’Italia
del nord da Elfi Edizioni nel 2004)
1893: Have you a Strong Will? or
how to Develop it or any other Faculty or Attribute of the Mind and render it
habitual (edito post-mortem e pubblicato in italiano dall’editore Bocca di
Torino nel 1909, 1913 e 1921 con il titolo La forza della volontà. Metodo per
sviluppare e rinvigorire la volontà, la memoria ed ogni
altra facoltà mentale col
sistema dell’autosuggestione)
1896: Legends of Florence
Collected from the People, in due volumi (la traduzione italiana del primo
volume dell’opera è stata pubblicata dall’editore Rebis sotto il titolo Firenze
Arcana nel 2004, mentre i racconti del secondo volume stanno apparendo a
puntate sulla rivista “Elixir” dello stesso editore)
1899: Unpublished Legends of Virgil
(traduzione italiana dal titolo Le leggende inedite di Virgilio ad opera delle
Edizioni Saecula)
1899: Aradia, or the Gospel of
the Witches (esistono cinque edizioni italiane di Aradia, o Il Vangelo delle
Streghe: la prima è stata pubblicata da Rebis (il Gatto Nero) nel 1994, le
altre dalla casa editrice All’Insegna di Istar (1994), dalle edizioni Lunaris (1995),
da Olschki Editore (1999), da Stampa Alternativa (2001), oltre un’edizione
privata stampata a Firenze nel 1991, curata da P.L. Pierini)
1899: Have You a Strong Will?
1901: Legends of Virgil
1902: Flaxius, or Leaves from the Life of an
Immortal.
Leland fu forse il primo a
trattare argomenti quale la forza del pensiero, o meglio conosciuta come la
forza della mente (o pensiero positivo), nel 1893 con il libro Have you a
Strong Will? or how to Develop it or any other Faculty or Attribute of the Mind
and render it habitual, edito poi più volte anche in Italia dall’editore
Bocca di Torino, come sopra accennato.
Ma il libro che resta più di tutti
legato al nome di Charles Godfrey Leland è Aradia, o Il Vangelo delle Streghe.
Leland riferisce d’averlo ricevuto dalla sua principale fonte d’informazioni sulle
tradizioni della Stregoneria italiana, una donna che lo scrittore chiama
Maddalena, mentre il resto del materiale è frutto delle ricerche di Leland sul
folclore e sulle tradizioni italiane.
Leland racconta di essere venuto
a conoscenza dell’esistenza del Vangelo nel 1886 ma Maddalena impiegò undici
anni per procurargliene una copia.
Dopo aver tradotto e sistemato
il materiale occorsero altri due anni per la giungere alla pubblicazione.
I quindici capitoli descrivono
le origini, le credenze, i rituali e gli incantesimi tradizionali della Stregoneria
pagana italiana. La figura centrale di questa religione è la dea Aradia, figlia
di Diana e Lucifero, venuta sulla
Terra per insegnare la pratica
della Stregoneria ai contadini affinché si oppongano ai signori feudali e alla
Chiesa cattolica romana.
Il capitolo I presenta le
prime streghe come delle schiave sfuggite ai propri padroni che iniziano una
nuova vita e vengono viste come “ladre e persone malvagie”. Diana manda allora sua
figlia Aradia per insegnare a
queste ex schiave la
Stregoneria, della quale possono usare la potenza per “distruggere la malvagia
stirpe degli oppressori”.
Le allieve di Aradia diventano
così le prime streghe che riusciranno a perpetuare l’eredità di Diana.
Leland fu colpito da questa cosmogonia:
“in tutte le altre Scritture di tutti i popoli è l’uomo... a creare l’universo;
nella società delle streghe è la femmina a rappresentare il principio fondamentale”.
Interi capitoli sono dedicati
a rituali e formule magiche. Tra questi il modo per consacrare farina e altri
alimenti per una festa rituale in onore di Diana, Aradia e Caino (capitolo II),
uno scongiuro da recitare quando si trova una pietra bucata o una pietra
rotonda per trasformarla in un amuleto per ottenere il favore di Diana
(capitolo IV), incantesimi d’amore (capitolo VI).
La parte narrativa occupa la minoranza
del testo e si compone di brevi racconti e leggende sulla nascita della
religione delle streghe e sulle gesta dei loro Dei.
L’opera di Leland restò poco conosciuta
fino agli anni cinquanta, quando iniziarono ad essere discusse anche varie
altre teorie sulla sopravvivenza di rituali pagani.
Oggi Aradia, o il Vangelo
delle Streghe è considerato il primo vero testo che segna la rinascita della
Stregoneria nel XX secolo e il libro è in effetti ripetutamente citato come
estremamente importante per lo sviluppo del movimento della Wicca e della Stregoneria.
Il testo, apparentemente,
conforta la tesi di Margaret Murray secondo cui la Stregoneria della prima
epoca moderna e del Rinascimento rappresenti le usanze sopravvissute di antiche
credenze pagane. Dopo l’affermazione da parte di Gerald Gardner d’aver
incontrato alcuni seguaci della religione delle streghe nell’Inghilterra del XX
secolo, le opere della Murray, di Leland e di altri furono d’aiuto per
sostenere perlomeno la possibilità che un simile culto potesse essere davvero
sopravvissutonel tempo.
Gli studiosi sono divisi:
alcuni valutano false le affermazioni di Leland sulle origini del manoscritto, mentre
altri ne sostengono l’autenticità e lo considerano una documentazione unica sulle
credenze popolari. In effetti, documenti circa l’esistenza di una divinità di
nome Aradia non sono stati finora ritrovati ed è anche vero che il testo di
Leland s’inquadra nella tipica produzione romantica di stampo ottocentesco ma,
allo stesso tempo, rappresenta un’allegoria della reale permanenza di tracce dell’antico
paganesimo nelle tradizioni religiose e culturali successive.
Si può quindi definire Charles
Godfrey Leland come uno dei principali precursori del movimento neopagano e, in
particolare, della Stregoneria e della Wicca.
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ALEX SANDERS
pseudonimo di Orrell Alexander Carter
Birkenhead 6 giugno 1926 – Sussex 4 aprile 1988.
Nel 2013 ricorrono i 25 anni dalla sua morte.
Fu un religioso britannico, fondatore della tradizione Alexandrina della Wicca,
fu definito "re delle streghe".
fu definito "re delle streghe".
Alex Sanders, pseudonimo di
Orrell Alexander Carter, nasce a Birkenhead (Liverpool, Inghilterra) il 6
giugno 1926, muore a Sussex il 30 aprile 1988. Fu un religioso britannico, fondatore
della tradizione alexandriana della Wicca. Venne proclamato dai suoi seguaci
"Re delle Streghe", ma non è riconosciuto tale dagli altri movimenti
wiccan.
Suo padre era un ballerino con
problemi di alcolismo. Poco dopo la sua nascita, la famiglia si trasferì a
Grape St, Manchester e ufficiosamente cambiò il cognome in Sanders.
Diverse e contraddittorie sono
le notizie riguardo l'Iniziazione di Alex nel mondo della Stregoneria, tuttavia
per convenzione si ritiene che quella più accreditata sia la versione riportata
nella sua biografica, King of the Witches di June Johns, la quale racconta; che
Alex da bambino fosse affettodi tubercolosi e visitava spesso la nonna Mary
Bibby, nel Galles. Per qualche raggione una sera su invitato a prendere il tè
dalla nonna, aveva 7 anni (1933), ed entrando senza bussare vide sua nonna nuda
al centro di un cerchio disegnato sul pavimento della cucina.
Ricomposta, la nonna, intimò
ad Alex di entrare nel cerchio, di togliersi i vestiti, e di mettere la testa
fra le sue cosce. Fatto ciò, prese un coltello a forma di falce e recidendo il
suo scroto disse: "Adesso sei uno di noi". Fu allora che Alex divenne
un Stregone.
Secondo la June Johns, sua
nonna era quindi una strega, discendente dal capo britanno Owain Glyndŵr,
l'ultimo uomo (secondo Sanders) che si definì "Il Re delle Streghe".
Si suppone che la nonna lasciò
ad Alex il suo Libro delle Ombre all'età di nove anni, insegnandogli i riti e
le magie delle Streghe. Alex affermò che pochi mesi prima che la nonna morisse
a 74 anni, lo iniziò al secondo e terzo grado con la presenza di rituali
sessuali.
Patricia Crowther (Grande
Sacerdotessa) racconta una storia differente. Secondo le lettere inviatole nel
1961 da Sanders, lui non riteneva di essere iniziato ma dichiarava di aver
sperimentato la seconda vista.
In effetti in un'intervista
del 1962, Sanders afferma di esser stato iniziato da un anno e di lavorare in
un Coven gestita da una donna di Nottingham. Tale affermazione è confermata da
Maxine Sanders, moglie e Sacerdotessa di Alex.
Maxine sostenne inoltre che
sebbene Alex sia stato successivamente iniziato alla Wicca, precedentemente in
gioventù ha ricevuto gli insegnamenti di una forma di Stregoneria dalla nonna, Mary
Bibby, che descrive come una donna austera, saggia nel folklore, che ha
impartito le conoscenze della sua tradizione ad Alex.
Tuttavia sembra che quando
Alex si rivelò al pubblico come Stregone, la Signora Sanders ebbe uno shock
così potente da sfiorare l'esaurimento nervoso.
Verso la fine della II° Guerra
Mondiale Alex lavorò per un laboratorio chimico a Manchester. Qui all'età di 21
anni conobbe e sposò la collega Doreen, diciannovenne. Da lei ebbe due figli
Paul e Janice. Il matrimonio velocemente cominciò a collassare finché Doreen, presi
i figli, lascerà Alex (ventiseienne).
IL SENTIERO DELLA MANO
SINISTRA
Dopo la Seconda guerra
mondiale e l'abbandono da parte di Doreen, Alex si sentì isolato e privato
della sua conoscenza occulta, perciò decise di imboccare il "Sentiero
della Mano Sinistra" dopo svariati lavori andati pessimamente e relazioni
sessuali altalenanti con uomini e donne.
Il Sentiero o meglio
conosciuto come la Via della mano sinistra (LHP, dall'inglese Left Hand Path,
contrapposta alla Via della mano destra) indica un insieme di movimenti
religiosi che condividono in parte o totalmente le seguenti caratteristiche:
Il rifiuto di una verità
universale, in favore di una visione individuale.
Una visione della vita quale
opera del proprio IO.
Il rifiuto della dicotomia
bene e male, in favore del volere personale.
Una visione agnostica o
gnostica riguardo all'esistenza della divinità.
Il rifiuto di una legge di
retribuzione/castigo (quale il Karma, la Legge del Tre, la qualità in una vita
ultraterrena, o simili), in virtù alla credenza che ognuno deve costruirsi un
proprio codice morale.
La credenza che le persone
dovrebbero trascendere la natura umana circoscritta in limiti fisici,
praticando l'auto-divinizzazione.
All’inizio, come Alex
racconta, il ricorso alla “magia nera” fu proficuo, tutto andò bene ma
successivamente: una delle amanti di Alex si suicidò; la sorella Joan fu ferita
accidentalmente in una sparatoria e poco dopo morì di un tumore. Alex incolpò
sé stesso e la pratica della magia nera per questi avvenimenti, così decise di
abbandonare la magia per scopi egoistici e di dedicarsi all'insegnamento a
favore degli altri.
In questo periodo studiò le
opere di Abremelin (l libro di Abramelin racconta la storia di un Mago egiziano
di nome Abramelin, o Abra-Melin, che insegnò un sistema magico a Abraham di
Worms, un ebreo tedesco che si presume abbia vissuto dal 1362 a.C. al 1458 d.C.).
LA WICCA
I primi contatti con la Wicca
avvennero nel 1962 attraverso Patricia Crowther.
Nel settembre del 1962 riuscì a convincere il
Manchester Evening News a pubblicare un articolo sulla Wicca. La pubblicità
derivante fu un deterrente per Alex che prima venne licenziato dal lavoro nella
Libreria e poi allontanato dai Crowther che considerarono pericolosa la sua
iniziazione.
L'iniziazione comunque gli
venne offerta da una Sacerdotessa appartenente alla Coven dei Crowther che
successivamente lavorò per parecchi anni con Maxine.
(Per Coven si intende un
gruppo spirituale/di preghiera wiccan).
Secondo alcuni, Alex riuscì a
copiare il Libro delle Ombre Gardneriano in un garage mentre il resto della
Coven era in casa. Maxine controbatte questo, dichiarando che Sanders ricopiò
il Libro delle Ombre secondo il metodo tradizionale dalla sua iniziatrice.
Poco dopo entrò a far parte di
una Coven Gardneriana guidata da Pat Kopanski che si sciolse nel giro di un
anno.
Alex seguì moltissime Coven,
una di queste lo videro come protagonista insieme ad una Sacerdotessa di nome
Sylvia. Sembra che successivamente sia Sylvia che altri membri abbandonarono
pacificamente la Coven lasciando ad Alex l'esclusiva amministrazione come
Grande Sacerdote.
In questo periodo la Coven di
Alex lavorò a Manchester. Continuò nella politica pubblicitaria, attirando molti
seguaci.
Dal 1965 iniziò più di 1,623
individui distribuiti in 100 Coven che lo nominarono Re delle Streghe.
Tra le sue presunte gesta
magiche c'è la creazione di un "bambino spirituale" che divenne il
suo famiglio. La nascita rientra nell'atto sacro della masturbazione, tipico
della Magia Sessuale, celebrato da Alex ed un suo seguace maschio. A
conclusione del rito apparve il famiglio Michael che crescendo in forma si
dissolse per riapparire poco dopo in una seduta di channelling (canalizzazione)
presieduta dallo stesso Sanders.
Si racconta che la forza del
famiglio Michael fu la causa che portò Alex a comportarsi in maniera
abominevole ed aggressiva, insultando addirittura i compagni. Tuttavia sembra
che col tempo Michael maturò e divenne un utile famiglio volto alla guarigione
e al channeling.
Un altro famiglio molto
utilizzato da Sanders fu Nick Demdike che rivelò di essere una strega
perseguitata a Lanchester nel XVII secolo (in effetti questo cognome compare
nei registri ma non si è mai trovata un'esecuzione portante il nome di Nick
Demdike).
Agli inizi del 1968, Alex
Sanders partecipò ad altri ordini cavallereschi - che nel 1974 raggiunsero il
numero di 16 e probabilmente esso aumentò prima della sua morte. Tra questi si
ricordano l'Ordine dei Cavalieri Templari, l'Ordine di San Giorgio, lOrdine
della Luna (Order of the Romaic Crescent) e l'Ordine di San Michele. Ordini
diversi dalla spiritualità wiccan.
Tra le sue gesta si ricordano
la distruzione delle verruche (augurandole a qualcun altro); la guarigione di
un uomo dall'eroina e una donna dalla cistite (imponendo le sue mani sulla
testa anche a distanza), la guarigione di una donna dal cancro rimanendo per
tre giorni e tre notti in ospedale dove tenendo i piedi della donna le versò la
sua energia guaritiva.
Alex dichiarò anche di aver
comandato che una gravidanza si interrompesse, oppure che ha aiutato alcuni
medici nella terapia su alcune donne.
Una delle guarigioni più
famose dei Sanders è sicuramente quella che vide come protagonista la figlia
Janice, nata senza liquido amniotico, con una malformazione al piede sinistro.
I medici dissero che non si poteva fare nulla finché la bambina non avesse
raggiunto l'adolescenza. Michael Sanders ebbe l' "intuizione" di
ungere il piede malformato con olio di oliva caldo. Questo fece sì che il piede
si raddrizzasse sorprendentemente. In effetti il piede rimase dritto e Janice
continuò a camminare normalmente, tranne che per un lieve zoppicamento nei
periodi umidi e freddi.
Nel 1965 venne celebrato
l'Handfasting (matrimonio wiccan) e nel 1968 si procedette anche all'unione
civile con Maxine Morris, nello stesso anno nacque Maya, la loro primogenita.
I Mass Media ebbero un grande
interesse verso Alex Sanders, tanto che nel 1969 June Johns decise di scriverne
una biografia intitolata King of the Witches (Il Re delle Streghe) a cui seguì
il film Legend of the Witches (La Leggenda delle Streghe). La sua popolarità
portò i Sandars in diversi talk-show e conferenze pubbliche.
Sanders si fece spesso
fotografare con indosso solo un perizoma, circondato da Streghe nude. La
spiegazione sta nel fatto che la "Legge delle Streghe" impone (non in
tutte le correnti wiccan, ma in particolare in quella Alexandriana (Sanders) e
Gardneriana) che l'anziano di una Coven debba essere sempre riconosciuto e
identificato dagli altri (un aspetto non riconosciuto nella maggior parte dei
movimenti wiccan).
Nel 1971 Alex e Maxine si
separeranno, con l'accusa che la donna non riusciva a sopportare la
bisessualità del marito. Alex si trasferisce a Sussex mentre Maxine rimase a
Londra dove continuerà a guidare le Coven, insegnando l'Arte (la Wicca) ed
iniziando i candidati. Nello stesso anno nacque il secondo figlio, Victor.
Il forte rapporto di Alex e
Maxine continuò anche dopo la separazione con molti alti e bassi fino alla
morte di lui avvenuta nel 1988.
Nel 1979 Alex pubblicamente
chiese scusa per gli errori passati, per le stupidaggini pubblicitarie e per le
iniziazioni false esprimendo il desiderio che la Wicca un giorno dovrebbe
mettere da parte le divergenze "unendosi in amore fraterno, con davanti il
volto della Signora e del Signore" e realizzando così una propria dignità
anche nel mondo esterno.
Nel 1979, Alex iniziò a
lavorare con Derek Taylor, un medium e psichista. Insieme rafforzarono e
svilupparono il lavoro magico dell'Ordine dei Sanders (oggi conosciuto come
Alexandriana), l'Ordine della Luna in Constantinopoli. I due contattarono
moltissime entità celesti, spiriti fino al Demiurgo stesso. Hanno registrato
svariate predizioni tra cui lo scoppio della Terza Guerra Mondiale.
Un altro gruppo oscuro in cui
Sanders fu coinvolto nel 1960 a Londra fu l'Ordine di Deucalione, incentrato
sulla magia atlantidea e sul contatto con gli abitanti dell'antica e perduta
Atlantide.
Fino al 1980 Sanders continuò
ad istruire ed iniziare svariati studenti.
Alla vigilia di Beltane (30
aprile) del 1988, dopo un sofferto cancro ai polmoni, Alex Sanders muore. Ma
anche da morto genererà polemiche.
Al suo funerale, i Sanders
dichiararono che a prendere le redini della sua opera sarebbe stato il figlio
Victor, il nuovo Re delle Streghe. Secondo Maxine tuttavia il figlio rifiutò e
si trasferì negli Stati Uniti.
La Tradizione Alessandriana
oggigiorno è diffusa in moltissimi paesi come l'Inghilterra. Negli Stati Uniti
non ha mai ottenuto il successo di quella Gardneriana, migliori risultati
invece l'ha ottenuti in Canada. Molti, tra cui Stewart Farrar, hanno dichiarato
che Sanders ha dato contributo indispensabile all'Arte.
A Lammas del 1998, dieci anni
dopo la morte di Alex, la New England Wiccan Coven ha dichiarato di aver
contattato lo spirito di Sanders. La comunicazione continuò fino al 2000
momento in cui, secondo quanto dal suo spirito rivelato, Alex Sanders doveva
reincarnarsi in un giovane negli Stati Uniti. Tuttavia il contatto continuò
fino al 2003 senza reincarnazione.
I messaggi rivolti da Alex a tutti
i Wiccan esortavano all'amore per la Dea e all'unità della Wicca.
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FLAVIO CLAUDIO GIULIANO
Costantinopoli 6 novembre 331, Maranga 26 giugno 363.
Nel 2013 ricorrono 1650 anni dalla sua morte.
Fu filosofo e imperatore romano, l’ultimo sovrano dichiaratamente pagano dell’Impero Romano.
Membro della dinastia
costantiniana (che si riteneva discendente di Claudio il Gotico e dei Flavi),
fu Cesare in Gallia dal 355, un pronunciamento militare nel 361 e la
contemporanea morte del cugino Costanzo II lo resero imperatore fino alla
morte, avvenuta nel 363 durante la campagna militare in Persia.
Flavio Claudio Giuliano (in
latino: Flavius Claudius Iulianus; Costantinopoli, 6 novembre 331 – Maranga, 26
giugno 363) è stato un imperatore e filosofo romano, l'ultimo sovrano dichiaratamente
pagano, che tentò senza successo di restaurare la religione romana dopo che
essa era stata abbandonata a favore del cristianesimo da suo zio Costantino I e
dal figlio Costanzo II.
Fu chiamato anche Giuliano II
o Giuliano il Filosofo (per distinguerlo da Didio Giuliano o da Giuliano di
Pannonia) o Giuliano l'Apostata dai cristiani, che lo presentarono come un
persecutore, ma in realtà nel suo regno vi fu tolleranza nei confronti di tutte
le religioni, comprese le diverse dottrine cristiane.
La sua ispirazione filosofica
fu in gran parte neoplatonica, scrisse numerose opere di carattere filosofico,
religioso, polemico e celebrativo, in molte delle quali criticò il
cristianesimo.
ORIGINI FAMILIARI
Quando Costantino I prese il
potere nel 306, prima cura di sua madre Elena, l'ex-locandiera e concubina di
Costanzo Cloro che questi aveva abbandonato per Teodora, fu di far allontanare
dalla corte i fratellastri del figlio, Dalmazio, Annibaliano e Giulio Costanzo
fino a Tolosa, nella Gallia Narbonense, città che già allora vantava di essere
un prestigioso centro di cultura.
Venti anni dopo, quando Elena
fu insignita dal figlio del titolo di Augusta, Giulio Costanzo era in Italia,
sposo della nobile romana Galla, che gli diede tre figli.
Giulio Costanzo, dopo aver
soggiornato a Corinto ed esser rimasto vedovo, si ritrovò a Nicomedia presso la
propria sorella Costanza, vedova dell'imperatore Licinio, dove sposò Basilina
figlia del patrizio Giulio Giuliano, parente del vescovo Eusebio di Nicomedia.
Da questo matrimonio nacque a Costantinopoli, alla fine del 331, Flavio Claudio
Giuliano: era stato chiamato Giuliano come il nonno materno, Flavio come tutti
i membri della famiglia di Costantino, e Claudio come il preteso fondatore
della dinastia costantiniana, (Claudio II il Gotico, secondo quanto si
propagandava allo scopo di nobilitare le oscure origini della dinastia
costantiniana).
Basilina morì pochi mesi dopo
il parto: si disse poi che aveva sognato di dare alla luce un nuovo Achille,
senza aver saputo se interpretare in senso ben augurante la premonizione della
nascita di un figlio bensì eroico, ma di vita breve e dalla morte violenta.
Giuliano portò con sé la
nostalgia di una figura che non poté conoscere e le dedicherà un giorno una
città di nuova fondazione, Basilinopoli.
La morte improvvisa di
Costantino (forse per avvelenamento) nel maggio del 337 aprì una tragica
successione.
Nel testamento Costantino
chiedeva giustizia per la sua morte e divideva l'impero tra i suoi figli. Altre
fonti non parlano dell'avvelenamento di Costantino ma citano esplicitamente che
il testamento fu consegnato nelle mani del figlio Costanzo, che si trovava in
Oriente e fu il primo a raggiungere Nicomedia. Costui fece sterminare tutti i
discendenti maschi di Costanzo Cloro e di Teodora. Furono risparmiati Giuliano,
allora di soli sei anni, e l'altro suo fratellastro Gallo, forse perché,
malato, lo si ritenne in fin di vita.
Naturalmente il ricordo della
strage non abbandonerà mai Giuliano: «Tutto quel giorno fu una carneficina e
per l'intervento divino la maledizione tragica si avverò. Si divisero il
patrimonio dei miei avi a fil di spada e tutto fu messo a soqquadro», dicendosi
convinto che fosse stato il dio Helios a condurlo lontano «dal sangue, dal
tumulto, dalle grida e dai morti».
Divenuto adulto, Giuliano
rintraccerà nella bramosia di potere di Costantino l'origine di tutti i mali
dei suoi discendenti: «ignorante com'era», Costantino credeva «che bastasse
avere un gran numero di figli per conservare la sostanza» che aveva accumulato
«senza intelligenza», non preoccupandosi «di fare in modo che i figli fossero
educati da persone sagge», così che ciascuno dei suoi figli continuò a
comportarsi come il padre, col desiderio di «possedere tutto da solo a danno
degli altri».
I tre figli di Costantino si
divisero il regno, assumendo il titolo di Augusto: il secondogenito Costanzo
II, che aveva posto un'ipoteca sul regno avendo presenziato, unico dei
fratelli, ai funerali del padre, ottenne le ricche province orientali; il
primogenito Costantino II quelle occidentali, esclusa l'Italia, che con
l'Africa e i Balcani furono assegnate al terzogenito Costante I, subordinato al
fratello maggiore e privato del diritto di emanare leggi.
GLI STUDI
Costanzo II allontanò dalla
corte i cugini superstiti: Gallo fu mandato a Efeso, mentre Giuliano, privato
dei beni paterni, fu trasferito a Nicomedia, nei cui dintorni la nonna materna
possedeva una villa ove il bambino trascorreva le estati: «in quella profonda
calma ci si poteva sdraiare e leggere un libro e di tanto in tanto riposare gli
occhi. Quando ero un bambino, quella casa mi sembrava il luogo di villeggiatura
più bello del mondo». Fu uno dei periodi più felici della sua esistenza:
affidato per poco tempo alle cure del vescovo Eusebio, che già nell'autunno del
337 fu promosso alla cattedra di Costantinopoli, a Nicomedia avvenne un
incontro che avrà grande importanza per la sua formazione, quello con l'eunuco
Mardonio, già precettore della madre, il quale fu incaricato di provvedere alla
sua istruzione.
Mardonio era un vecchio scita
(goti) da molti anni perfettamente integrato nella società tardo-antica, il
quale provava per la cultura greca un'autentica venerazione: da lui Giuliano
apprese la letteratura classica e soprattutto Omero, che gli aprì la fantasia
sul mondo favoloso dell'epica attraverso una costante e rigorosa applicazione.
Giuliano stesso ricorderà
quegli anni di apprendistato: «il mio pedagogo m'insegnò a tenere gli occhi a
terra, quando andavo a scuola [...] egli elaborava e quasi scolpiva nel mio
animo ciò che allora non era affatto di mio gusto ma che, a forza d'insistere,
finì per farmi parer gradito, abituandomi a chiamare serietà l'essere rozzo,
saggezza l'essere insensibile, e forza d'animo il resistere alle passioni [...]
mi ammoniva dicendomi: – Non lasciarti trascinare dai tuoi coetanei che
frequentano i teatri ad appassionarti per gli spettacoli. Ami le corse dei
cavalli? Ce n'è una bellissima in Omero. Prendi il libro e leggi. Ti parlano di
mimi e danzatori? Lascia dire. Danzano assai meglio i giovinetti Feaci. E là
troverai il citaredo Femio e il cantore Demodoco. E leggere, in Omero, certe
descrizioni di alberi è più piacevole che vederli dal vero: Io vidi a Delo,
presso l'ara di Apollo, un giovane virgulto di palma ergersi al cielo. E
leggerai della selvosa isola di Calipso, dell'antro di Circe e del giardino di
Alcinoo». (Frammento di lettera di
Giuliano all'amico Saturnino Salustio).
Morti ormai, nel 341, sia il
vescovo Eusebio che Costantino II, il quale era venuto a conflitto armato col
fratello Costante I, l'imperatore Costanzo, forse sospettando che il fratello
superstite potesse utilizzare i due cugini ai suoi danni, inviò Gallo e
Giuliano nell'estremità della Cappadocia, nella tenuta imperiale di Macellum:
privato dell'amato precettore Mardonio, con un fratellastro diversissimo da lui
per carattere e interessi,[30] Giuliano fu mantenuto per sei anni in un
lussuoso ma opprimente isolamento: «che cosa dovrei dire dei sei anni passati
in quel podere altrui, come coloro che i Persiani tengono sotto guardia nelle
fortezze, senza che nessun estraneo si avvicinasse, né fosse concesso a nessuno
degli antichi conoscenti di farci visita? Vivevamo esclusi da ogni serio
insegnamento, da ogni libera conversazione, allevati in mezzo a uno splendido
servitorame, esercitandoci con i nostri schiavi come con dei colleghi».[31] I
loro sorveglianti avevano anche il compito di dare, dei tragici avvenimenti che
avevano segnato la loro infanzia, la versione "ufficiale", che naturalmente
escludeva ogni responsabilità di Costanzo.[32]
Ma Giuliano studiò anche
dell'Antico e del Nuovo Testamento, uno dei suoi insegnanti fu il vescovo
Giorgio di Cappadocia, che possedeva un'eccellente biblioteca non solo di
autori cristiani, della quale Giuliano approfittò volentieri.
Non è dato sapere con quanta
intima convinzione Giuliano avesse aderito alla religione cristiana che
professò, come dice, fino ai venti anni, e si ignora se egli abbia mai ricevuto
il battesimo.
Nel 347 i due giovani
fratellastri ricevettero una breve visita di Costanzo: probabilmente
l'imperatore rimase favorevolmente impressionato dal loro comportamento, perché
alla fine dell'anno richiamò Gallo a corte e, poco dopo, anche Giuliano.
A Costantinopoli fu riaffidato a Mardonio e
iniziò gli studi superiori sotto il grammatico pagano Nicocle di Sparta, colto
ellenista.
Nicocle sarà con Giuliano alla
corte di Antiochia e, sempre fedele a sé stesso e all'imperatore, porterà a suo
rischio il lutto per la sua morte, diversamente dall'altro maestro di retorica
Ecebolio, un cristiano che si fece pagano per compiacerlo, salvo tornare al
cristianesimo dopo la scomparsa di Giuliano.
Giuliano, a vent'anni, era «di
media statura, con i capelli lisci, un'ispida barba a punta, con begli occhi lampeggianti,
segno di viva intelligenza, le sopracciglia ben marcate, il naso diritto e la
bocca piuttosto grande, con il labbro inferiore pendulo, il collo grosso e
curvo, le spalle larghe, ben fatto dalla testa ai piedi, così da essere
eccellente nella corsa». Era di carattere estroverso, di modi semplici e si
faceva avvicinare volentieri, senza mostrare l'alterigia e il distacco comuni
ai personaggi d'alto rango.
Fu forse per timore che
Giuliano divenisse troppo popolare a Costantinopoli che Costanzo, nel 351, lo
allontanò dalla corte mandandolo a studiare a Nicomedia, con la proibizione,
espressa dal maestro Ecebolio, di assistere alle lezioni del rivale Libanio, il
famoso retore pagano, del quale Giuliano si procurò comunque gli appunti delle
lezioni e diventandone, come mostrano le sue orazioni giovanili, un aperto
imitatore.
Al completamento della sua
formazione culturale mancava ancora lo studio della filosofia: tra le scuole
filosofiche in auge al tempo vi era la filosofia neoplatonica, inaugurata da
Plotino e proseguita con esiti diversi dai suoi diretti allievi Porfirio e
Giamblico. Da Nicomedia Giuliano fu indirizzato a Pergamo,[46] dove esisteva la
scuola neoplatonica tenuta dal successore di Giamblico, il vecchio Edesio di
Cappadocia che, a sua volta, gli consigliò di frequentare le lezioni di due
suoi allievi, Eusebio di Mindo e Crisanzio di Sardi. Dalle lezioni di Eusebio
apprese l'esistenza di un teurgo di nome Massimo, apparentemente capace di
strabilianti prodigi.
Nel 351 Giuliano si recò a Efeso
per incontrarlo e da lui fu prima istruito, insieme con Crisanzio, alla teurgia
giamblica.
Giuliano vorrà un giorno con
sé Massimo eleggendolo a sua guida spirituale.
Con l'iniziazione ai misteri
del Sole invitto, egli realizzò un'aspirazione cui tendeva fin da bambino: «fin
da fanciullo fu insito in me un immenso amore per il raggi del dio, e alla luce
eterea indirizzavo il pensiero tanto che, non stanco di guardare sempre al
Sole, se uscivo di notte con un cielo puro e senza nubi, subito, dimentico di
tutto, mi volgevo alle bellezze celesti …».
Intanto, nel 350, nuovi
scenari politici e militari erano apparsi in Occidente: il comandante della
guardia imperiale Magnenzio aveva spodestato e ucciso l'imperatore Costante.
Per reagire a questa inattesa minaccia, Costanzo ritenne necessario fare
appello ai parenti più prossimi: il 15 marzo 351 nominò cesare Gallo facendolo
sposare, a suggello di una pur precaria alleanza, con la sorella Costanza e
affidandogli il controllo dei territori orientali dell'Impero, partendo poi ad
affrontare in una guerra, difficile ma infine vittoriosa, l'usurpatore
Magnenzio.
Nell’autunno del 354 Costanzo
II, informato degli eccessi criminali ai quali Gallo e la moglie Costantina si
abbandonavano ad Antiochia, invitò la coppia a Mediolanum (Milano): mentre
Costantina, colta da febbri, moriva in Bitinia durante il viaggio, Gallo,
quando arrivò nel Norico, a Petovio (l'attuale Ptuj) fu trascinato fino a
Fianona, presso Pola, e decapitato nel carcere dove già Crispo era stato fatto
uccidere dal padre Costantino.
Quanto a Costantina, gli attese un curioso destino postumo (singolare
eroina, che fece scorrere, lei sola, più sangue umano di quanto ne avrebbero
versato molte bestie feroci), fu santificata in quanto «vergine» e i suoi resti
depositati in un celebre mausoleo romano a lei intitolato, dove sarà inumata
anche la sorella Elena, moglie di Giuliano.
Giuliano, scrivendo
successivamente su quei fatti, attenuò le responsabilità di Gallo nelle vicende
di cui sarebbe stato responsabile, considerando che il fratello fosse stato
provocato e non ritenendolo meritevole della condanna a morte.
Subito dopo l'esecuzione di
Gallo, Giuliano fu convocato a Mediolanum (Milano).
Dall'Anatolia s'imbarcò per
l'Italia: giunto a Mediolanum, fu incarcerato e, senza poter ottenere udienza
dall'imperatore, gli furono rivolte le accuse di aver tramato con Gallo ai
danni di Costanzo e persino di avere, adolescente, lasciato Macellum senza
autorizzazione. L'inconsistenza delle accuse, l'intercessione dell'influente
retore Temistio e l'intervento della generosa e colta imperatrice Eusebia
posero fine dopo sei mesi alla prigionia di Giuliano, al quale fu imposto di
risiedere ad Atene, dove giunse nell'estate del 355.
Ad Atene frequentò soprattutto
il filosofo neoplatonico Prisco, l'allievo di Edesio, che lo invitò nella sua
casa e gli fece conoscere la propria famiglia: da imperatore, Giuliano lo volle
con sé e Prisco, che sarà presente con Massimo al suo letto di morte,
consolandone l'ora estrema.
Il 1º dicembre 355, Giuliano,
con una scorta di 360 soldati, partiva alla volta della Gallia. Non aveva avuto
una specifica preparazione militare: cercò di acquisire almeno un'esperienza
teorica attraverso la lettura dei Commentari di Cesare.
Superato l'inverno, nel giugno
del 356 si mise in marcia verso Autun, poi a Auxerre e a Troyes, dove disperse
un gruppo di barbari e da qui si congiunse a Reims con l'esercito di Marcello.
Subìta una sconfitta dagli Alamanni, si riprese inseguendoli fino a Colonia,
che fu abbandonata dal nemico. Essendo sopraggiunto l'inverno, si ritirò nel
campo trincerato di Sens, dove dovette sopportare un assedio senza che Marcello
gli portasse aiuto. Denunciato il comportamento di quel magister militum
all'imperatore, Costanzo II rimosse Marcello dall'incarico, sostituendolo con
Severo e affidando finalmente il comando di tutto l'esercito di Gallia a
Giuliano.
L'estate successiva decise un
attacco oltre la frontiera del Reno, predisponendo un piano di aggiramento del
nemico da realizzare con l'ausilio dei 30.000 uomini giunti dall'Italia al
comando del generale Barbazione, ma il piano fallì per la dura sconfitta subita
da questi, a seguito della quale il generale lasciò l'esercito tornando a
Mediolanum. Gli Alamanni, comandati da Cnodomario, cercarono di sfruttare il
momento favorevole attaccando Giuliano nei pressi di Strasburgo: dopo che
Giuliano in persona riorganizzò e riportò in battaglia la cavalleria pesante
romana in rotta, vinse la battaglia, mettendo in fuga gli Alamanni oltre il
Reno.
Giuliano sfruttò la vittoria
di Strasburgo, superando il Reno e devastando il territorio nemico, fino a
rioccupare gli antichi presidi romani che erano caduti da anni in mano al
nemico.
Nella successiva primavera del
358 Giuliano riprese le ostilità contro i Franchi Salii, nella Toxandria - le
attuali Fiandre - ai quali impose lo stato di ausiliari e, superata la Mosa,
respinse i Franchi Camavi oltre il Reno.
L'anno successivo proseguì
l'opera di difesa dei confini e oltrepassò per la terza volta il Reno per
ottenere la sottomissione delle ultime tribù alemanne.
L’INCORONAZIONE A IMPERATORE
Nella primavera del 361
Giuliano fece arrestare e deportare in Spagna Vidomario: ritenendo di aver
messo al sicuro la Gallia, trasse gli auspici per la decisiva avventura contro
Costanzo, che gli furono favorevoli, così che a luglio iniziò l'avanzata verso
la Pannonia. Divise le truppe in tre tronconi, ponendosi a capo di una forza,
esigua ma estremamente mobile, di circa 3.000 uomini, che attraversò la Foresta
Nera, mentre il generale Gioviano percorreva l'Italia settentrionale e Nevitta
attraversava la Rezia e il Norico. Senza incontrare resistenza, Giuliano e le
sue truppe s'imbarcarono sul Danubio e il 10 ottobre sbarcarono a Bononia, da
dove giunsero a Sirmio, una delle residenze della corte, che si arrese senza
combattere.
La guarnigione di Sirmio fu
inviata in Gallia ma si ribellò, fermandosi ad Aquileia, che fu assediata dalle
forze di Gioviano. Giuliano proseguì, insieme con l'esercito di Nevitta, per Naisso,
in Illiria, la città di nascita di Costantino, e di qui in Tracia: lasciato al
generale Nevitta il compito di presidiare il passo strategico di Succi, tornò a
Naisso, stabilendovi i quartieri invernali. Da qui inviò messaggi ad Atene, a
Sparta, a Corinto, a Roma, spiegando, dal suo punto di vista, gli avvenimenti
che avevano provocato il conflitto. Il messaggio a Roma, allora afflitta da una
carestia contro la quale Giuliano prese provvedimenti, non fu accolto con
favore dal senato, scandalizzato dall'irriverenza mostrata da Giuliano nei
confronti di Costanzo.[100] Il messaggio agli Ateniesi, l'unico conservatoci
integralmente, si conclude augurandosi un accordo con il quale Giuliano si
riterrebbe «pago di ciò che attualmente posseggo»; se invece Costanzo vorrà
decidersi, come sembra, per la guerra, «saprò anche operare e soffrire».
Non ve ne fu bisogno: a Naisso
fu raggiunto, verso la metà di novembre, da una delegazione dell'armata
d'Oriente che gli annunciò la morte di Costanzo, avvenuta il 3 novembre a
Mopsucrene, in Cilicia.
Si dice, senza certezza, che
in extremis Costanzo avesse designato Giuliano suo successore; Giuliano
indirizzò lettere a Massimo, al segretario Euterio e allo zio Giulio Giuliano,
al quale scrisse che «Helios, a cui mi sono rivolto in cerca di aiuto prima che
a ogni altro dio, e il supremo Zeus mi sono testimoni: non ho mai desiderato
uccidere Costanzo, anzi, ho desiderato il contrario. Perché allora sono venuto?
Perché gli dei me l'hanno ordinato, promettendomi la salvezza se avessi
obbedito, la peggiore sventura in caso contrario».
Il 3 novembre del 361 salì al
trono, ufficialmente, l’imperatore Flavio Claudio Giuliano.
Con la convinzione di essere
portatore della missione di restauratore dell'Impero assegnatagli da Helios-Mitra,
partì immediatamente per Costantinopoli: appena giunto nella capitale, l'11
dicembre, ordinò di erigere un mitreo nell'interno del palazzo imperiale,
rendendo grazie al dio che sarà da questo momento l'ispiratore di ogni sua
azione.
Accolto con calore dalla
capitale dell'Impero, Giuliano rese omaggio alla salma di Costanzo
accompagnandola all'estremo riposo nella basilica dei Santi Apostoli. Compiva
così l'atto formale di una successione apparentemente legittima tanto da
permettersi ora di definire «fratello» il suo predecessore, elevato dal Senato
all'apoteosi, augurandosi che «la terra fosse leggera» al «beatissimo
Costanzo».
Usò deferenza verso il Senato
di Costantinopoli, facendogli ratificare la propria elezione, concedendo
esenzioni fiscali ai suoi membri, presentandosi alle loro assemblee e
rifiutando il titolo di Dominus, mentre con i propri amici manteneva il
tradizionale cameratismo.
Pietoso verso il defunto
imperatore, Giuliano fu però inflessibile verso le «anime nere» dei suoi
consiglieri.
Dopo l'istruttoria condotta
dal magister equitum Arbizione, un tribunale riunito a Calcedonia e presieduto
da Salustio condannò alla pena capitale il ciambellano Eusebio, i delatori
Paolo Catena e Apodemio - questi ultimi due furono bruciati vivi - il comes
largitionum Ursulo, l'ex-prefetto della Gallia Florenzio, che tuttavia riuscì a
fuggire, e i funzionari Gaudenzio e Artemio, mentre Tauro se la cavò con
l'esilio a Vercelli e Pentadio fu assolto.
Nello stesso tempo stabilì
allo stretto necessario il personale di corte: ridotti drasticamente i notarii,
il personale della burocrazia, allontanati eunuchi, confidenti e spie, alla
cancelleria chiamò il fratello di Massimo, Ninfidiano, e suoi collaboratori
furono Salustio, Euterio, Oribasio, Anatolio, Mamertino e Memorio. Oltre alle
sue guide spirituali Massimo e Prisco, intrattenne o invitò a corte i suoi
vecchi maestri Mardonio, Nicocle ed Ecebolio, lo zio Giulio Giuliano, i
cristiani Cesario, medico e fratello di Gregorio di Nazianzo, Aezio e
Proeresio. I suoi luogotenenti militari furono i magistri equitum Gioviano,
Nevitta e Arbizione, e il magister peditum Agilone, un alemanno.
Lo sfoltimento della
burocrazia centrale andava nella direzione di un decentramento della macchina
amministrativa e di una rivitalizzazione delle funzioni municipali.
Nel complesso, Giuliano
condusse una politica economica deflazionistica, volta a risollevare le
condizioni degli humiliores, attraverso la riduzione dei prezzi delle merci di
prima necessità, cercando nel contempo di non scontentare gli interessi delle
classi privilegiate - commercianti e proprietari terrieri - distribuendo gli
oneri delle amministrazioni cittadine fra un maggior numero di possessores e
riducendo loro le tasse.
Che l'unità dell'Impero fosse
favorita dall'unità ideologica e culturale dei sudditi era stato compreso già
da Costantino il quale, convocando nel 325 il Concilio di Nicea, aveva inteso
che il cristianesimo si fondasse su dogmi condivisi da tutti i fedeli costruiti
con gli strumenti messi a disposizione dalla filosofia greca. Allo stesso modo
Giuliano intese stabilire i principi dell'ellenismo, visto come sintesi delle
tradizioni ereditate dall'antica religione romana e della cultura greca,
elaborata alla luce della filosofia neoplatonica.
Sarà Giuliano colui che
proclamò la tolleranza generale nei confronti di tutte le religioni e di tutti
i culti: si poterono così riaprire i templi pagani e celebrare i sacrifici,
mentre tornarono dall'esilio quei vescovi cristiani che le reciproche dispute
tra ortodossi e ariani avevano allontanato dalle loro città. Seppure la
tolleranza religiosa era conforme alle esigenze del suo spirito, è probabile
che nei confronti del cristianesimo Giuliano avesse calcolato che «la
tolleranza favorisse le dispute tra i cristiani [...] L'esperienza gli aveva
insegnato che non ci sono belve più pericolose per gli uomini di quanto non
siano spesso i cristiani nei confronti dei loro correligionari».
Respinti i consigli di chi
avrebbe voluto che egli si occupasse dei Goti, tempo dopo Giuliano lasciò
Costantinopoli muovendosi lentamente in direzione della Siria. Era da queste
frontiere che ormai da secoli si profilava la maggiore minaccia per l'Impero,
quella dei Persiani, i nemici mai vinti dai Romani, che due anni prima, al comando
di Sapore II avevano messo in fuga le legioni di Costanzo II e conquistato
Singara e Bezabde. Solo la notizia dell'arrivo di un nuovo imperatore sulle
rive del Bosforo, preceduto dalla fama delle vittorie ottenute sui Germani,
aveva potuto arrestare l'ambizioso Re dei Re sulle rive dell'Eufrate, in attesa
forse di comprendere l'effettivo valore di quel nuovo avversario e di auspici
favorevoli che lo spingessero a riprendere l'avanzata.
Da parte sua, Giuliano era
convinto che gli auspici non potessero essergli più favorevoli: il teurgo
Massimo aveva interpretato oracoli che lo designavano redivivo Alessandro,
destinato a ripeterne le gesta di distruttore dell'antico Impero persiano, a
raggiungere da dominatore quelle terre da cui proveniva il culto di Mitra, il
suo nume tutelare, a eliminare una volta per tutte quella storica minaccia, e a
fregiarsi del titolo di «vincitore dei Persiani».
Giuliano attraversò la
Calcedonia e si fermò a Larissa, dove ancora si poteva vedere la tomba di
Annibale. Giunto a Nicomedia, si rese conto delle distruzioni provocate dal
terremoto dell'anno prima, cercò di alleviare con elargizioni le difficili
condizioni dei suoi abitanti.
Andò poi a Nicea e ad Ancyra,
dove una colonna ricorda ancora il suo passaggio, e raggiunse Pessinunte per
pregare Cibele nel suo famoso santuario. Qui due cristiani vilipesero gli
altari della dea e Giuliano abbandonò la città, sdegnato da tanto affronto.
Ritornò ad Ancyra e di qui a
Tiana, in Cappadocia, dove volle incontrare il filosofo pagano Aristossene,
dopo averlo espressamente invitato in modo da poter finalmente vedere, come
scrisse, «un greco puro. Finora ho visto soltanto gente che si rifiuta di fare
sacrifici o persone che avrebbero voluti offrirli, ma che non sapevano nemmeno
da che parte cominciare».
Antiochia accolse festosamente
Giuliano, che rivide e volle con sé Libanio, vi celebrò le feste Adoniae e, per
fare un piacere agli antiochesi, amanti delle feste e degli divertimenti,
ordinò contro le sue abitudini uno spettacolo all'ippodromo, diminuì le tasse
di un quinto, condonò quelle arretrate non pagate, aggiunse 200 curiales,
scelti tra i più abbienti, nel Consiglio cittadino, in modo che le spese
pubbliche fossero meglio ripartite e concesse terreni demaniali alla
coltivazione dei privati.
Ma l'armonia tra l'austero
imperatore e gli abitanti della frivola città era destinata a spezzarsi. La sua
ostilità agli spettacoli licenziosi, la sua devozione agli dei e i frequenti
sacrifici non potevano essere graditi in una città a maggioranza cristiana.
Anche il calmiere imposto ai prezzi degli alimentari non ottenne i risultati
sperati, perché il ribasso dei prezzi irritò i commercianti e fece diradare i
prodotti nei mercati, danneggiando tutti; allo scarseggiare del grano, al cui
prezzo impose la diminuzione di un terzo, Giuliano provvide a sue spese con
grandi importazioni dall'Egitto, ma gli speculatori ne fecero incetta,
rivendendolo fuori città a costo maggiorato o lasciandolo nei propri depositi,
in attesa di un rialzo del suo prezzo.
Presto cominciarono a
circolare epigrammi che deridevano il suo aspetto, che appariva bizzarramente
trascurato per essere quello dell'uomo più potente e temuto, la sua barba fuori
moda, i capelli arruffati, il comportamento per nulla ieratico anzi, stranamente
alla mano, «democratico», le abitudini austere, la mancanza di senso
dell'umorismo, una serietà che appariva eccessiva ai loro occhi, la sua stessa
fede pagana.
Del resto, lo stesso Giuliano
sembrò mutare nel corso della sua permanenza ad Antiochia. Secondo Ammiano
Marcellino, abitualmente egli lasciava moderare dagli amici e dai consiglieri
il suo carattere emotivo che lo trascinava all'impulsività; con l'inizio dei
preparativi della campagna militare persiana e all'approssimarsi della
spedizione, per garantirsi il successo aumentò i riti propiziatori, facendo
vari sacrifici animali.
Nei pressi della città si
stendeva, in una valle ricca di boschi e di acque, il sobborgo di Dafne, dove
sorgeva un santuario dedicato ad Apollo, rappresentato da una statua d'avorio
scolpita da Briasside, e lambito dalla fonte Castalia, che la leggenda
sosteneva essere parlante. Fatto
chiudere da Costanzo e andato in rovina, vi era stata costruita una cappella
dove erano stati sepolti i resti del vescovo Babila. Giuliano, che prima ancora
di arrivare ad Antiochia aveva chiesto allo zio Giulio Giuliano di restaurare
il tempio, quando in agosto cadde la ricorrenza della festa del dio, si recò a
Dafne ed ebbe l'amara sorpresa di vedere che il Consiglio municipale, formato
in gran parte di cristiani, non aveva preparato alcun festeggiamento. Neanche
le interrogazioni votive di Giuliano ottenevano risposta dalla statua del dio o
dalla fonte Castalia, finché il teurgo Eusebio credette di comprenderne la
ragione: la presenza del sepolcro del vescovo era responsabile del silenzio
degli dei. I resti di Babila furono così riesumati, con grande scandalo dei
cristiani, e fatti seppellire ad Antiochia.
Poco tempo dopo, nella notte
del 22 ottobre il tempio di Dafne andò completamente distrutto da un violento
incendio. Le indagini volte a scoprire i responsabili non approdarono a nulla
ma Giuliano si convinse che fossero stati i cristiani a distruggere il
santuario e per reazione fece chiudere al culto la cattedrale di Antiochia.
Questo comportamento fu l'espressione e il risultato della libertà, una
libertà che Giuliano non intense reprimere, perché ciò verrebbe a contrasto con
i propri principi democratici: a contrastare con i principi di Giuliano fu
l'utilizzo che gli Antiocheni fanno della libertà, che ignora i canoni
dell'equilibrio classico e della saggezza ellenica, una libertà che rinnega
ogni servitù, prima quella degli dei, poi quella delle leggi, e terza, quella
dei custodi delle leggi.
Gli Antiocheni videro in lui
un personaggio bizzarro, portatore di valori desueti e perciò un sovrano
anacronistico, reagendo così alle sue iniziative, anche quelle che intendevano
favorirli, ora con indifferenza, ora con ironia, ora con disprezzo: «mi ha in
odio la maggioranza, per non dire la totalità del popolo, che professa
l'incredulità negli dèi e mi vede attaccato ai dettami della religione patria;
mi hanno in odio i ricchi, a cui impedisco di vendere ogni cosa ad alto prezzo;
tutti poi, mi odiano a motivo dei ballerini e dei teatri, non perché io li
privi di queste delizie, ma perché a me di queste delizie importa meno dei
ranocchi delle paludi».
Ma Giuliano sembra credere che
il comportamento degli Antiocheni sia dettato unicamente dalla ingratitudine e
dalla malvagità: i suoi provvedimenti presi per alleviare la situazione
economica della città sembravano voler «capovolgere il mondo, perché con tale
genìa l'indulgenza non fa che favorire e accrescere l'innata malvagità». E
allora, «di tutti i mali sono io l'autore, perché ho posto benefici e favori in
animi ingrati. La colpa è della mia stupidità, non della vostra libertà».
Il 5 marzo 363 Giuliano dava
inizio alla campagna contro i Sasanidi partendo con un esercito di 65.000
uomini da Antiochia, abbandonata nelle mani di Adrastea: questa volta fu
accompagnato fino al borgo di Litarba da una folla numerosa e dal Senato
antiocheno che da lui cercò invano di ottenere condiscendenza. Nominò
governatore della Siria un certo Alessandro di Eliopoli, uomo duro e brutale,
perché quella «gente avida e insolente» non meritava di meglio. Respinse con
disprezzo una lettera del re persiano Sapore, che offriva un trattato di pace
e, salutato Libanio, si diresse a Ierapoli, attraversò l'Eufrate e raggiunse
Carre, di triste memoria, dove offrì sacrifici al dio Sin, venerato in quei
luoghi. Si dice che qui abbia segretamente nominato suo successore il cugino,
«il bello, grande e triste Procopio, dalla figura sempre curva, dallo sguardo
sempre a terra, che nessuno ha mai visto ridere».
Quella notte, come a rafforzare
i tristi presentimenti sull'esito della guerra, a Roma bruciava il tempio di
Apollo Palatino, forse bruciarono anche i Libri della Sibilla Cumana.
A Carre, Giuliano divise
l'esercito: 30.000 uomini, al comando di Procopio e di Sebastiano, furono mandati
a nord, in Armenia, per unirsi al re Arsace, ridiscendere per la Corduene,
devastare la Media e, costeggiando il Tigri, ricongiungersi poi in Assiria con
Giuliano che intanto, con i suoi 35.000 uomini, sarebbe disceso a sud lungo
l'Eufrate, dove una grande flotta al comando di Lucilliano navigava a vista
portando vettovaglie, armi, macchine d'assedio, barconi.
Il 27 marzo, giorno della
festa della Madre degli dèi, Giuliano era a Callinicum, sull'Eufrate: celebrò
il rito e ricevette l'omaggio dei saraceni, che gli offrirono l'appoggio della
loro celebrata cavalleria. Attraversato il deserto siriano, Giuliano giunse a
Circesium, ultimo avamposto romano prima del regno sasanide, alla confluenza
dell'Eufrate con il fiume Chabora. Una lettera di Salustio lo pregava invano di
sospendere l'impresa: tutti gli auspici erano contrari. Un portico, crollato al
passaggio delle truppe, aveva ucciso decine di soldati, un fulmine aveva
incenerito un cavaliere, di dieci tori, condotti al sacrificio, nove erano
morti prima di raggiungere l'altare di Marte.
Superato il fiume Chabora,
iniziava l'invasione del regno sasanide: 1.500 guide precedevano l'avanguardia
e si disponevano ai fianchi dell'esercito. Alla destra, Nevitta costeggiava la
riva sinistra dell'Eufrate, al centro era la fanteria dei veterani di Gallia
comandata da Giuliano, alla sinistra la cavalleria comandata da Arinteo e da
Ormisda, il fratellastro maggiore di Sapore passato ai Romani, cui era promesso
il regno.
Raggiunta Zaitha il 4 aprile,
Giuliano rese omaggio al mausoleo dell'imperatore Gordiano, penetrò a Dura
Europos, città abbandonata da anni, e ottenne facilmente la resa del fortino di
Anatha, che fu distrutto; nella cittadina trovarono un vecchio soldato romano
con la sua famiglia, lì rimasto dal tempo della spedizione di Massimiano.
Bruciata Diacira, evacuata dagli abitanti, entrò a Ozagardana e la distrusse.
Dopo un giorno di riposo, i Romani avvistarono in lontananza l'esercito
persiano che fu assalito e costretto alla fuga. Oltrepassata Macepracta, giunsero
di fronte a Pirisabora, circondata da canali di irrigazione, e diedero inizio
all'assedio che si concluse con la resa, il saccheggio e l'incendio della
città. A ogni soldato furono distribuite 100 silique: di fronte alla
scontentezza dell'esercito per una moneta che manteneva solo i due terzi del
suo valore nominale, Giuliano promise le ricchezze del regno persiano.
L’ULTIMA BATTAGLIA – LA MORTE
Il 16 giugno apparve
finalmente all'orizzonte l'esercito di Sapore, che però si limitò a seguire da
lontano le truppe di Giuliano, rifiutando il combattimento aperto e ingaggiando
solo brevi incursioni di cavallerie.
Il 21 giugno l'esercito romano
si fermò a Maranga per una sosta di tre giorni. Giuliano impiegava come al
solito il tempo libero dalle occupazioni militari leggendo e scrivendo. La
notte del 25 giugno gli sembra di scorgere nel buio della sua tenda una figura:
è il Genius Publicus, egli apparve col capo velato a lutto, lo guardava senza
parlare, poi si voltò e lentamente svanì.
La mattina dopo, malgrado
l'opinione contraria degli aruspici, fece levare le tende per riprendere la
ritirata verso Samarra. Durante la marcia, presso il villaggio di Toummara, si
accese un combattimento nella retroguardia: Giuliano accorse senza indossare
l'armatura, si lanciò nella mischia e un giavellotto lo colpì al fianco. Cercò
subito di estrarlo ma cadde da cavallo e svenne. Portato nella sua tenda, si
rianimò, credette di star meglio, volle le sue armi ma le forze non risposero
alla volontà. Chiese il nome della località: «è Frigia», gli risposero.
Giuliano comprese che tutto era perduto: un tempo aveva sognato un uomo biondo
che gli aveva predetto la morte in un luogo con quel nome.
Il prefetto Salustio accorse
al suo capezzale: lo informò della morte di Anatolio, uno dei suoi amici più
cari. Giuliano pianse per la prima volta e la commozione prese tutti gli
astanti.
Si riprese, Giuliano: «È
un'umiliazione per noi tutti piangere un principe la cui anima sarà presto in
cielo a confondersi con il fuoco delle stelle».
Quella notte fece il bilancio
della sua vita: «Non devo pentirmi né provare rimorso di alcuna azione, sia
quando ero un uomo oscuro, che quando ebbi la cura dell'Impero. Gli dèi me lo
concessero paternamente ed io lo conservai immacolato [...] per la felicità e
la salvezza dei sudditi, equanime nella condotta, contrario alla licenza che
corrompe le cose e i costumi».
Poi, com'è degno di un
filosofo, conversò con Prisco e con Massimo della natura dell'anima. Le sue
guide spirituali gli ricordarono il suo destino, fissato dall'oracolo di
Helios:
« Quando avrai sottomesso al
tuo scettro la razza persiana, inseguendoli fino a Seleucia a colpi di spada,
allora salirai all'Olimpo su un carro di fuoco attraverso le vertiginose orbite
del cosmo.
Liberato dalla dolorosa
sofferenza delle tue membra mortali, raggiungerai la dimora senza tempo della
luce eterea, che abbandonasti per entrare nel corpo di un mortale. »
Sentendosi soffocare, Giuliano
chiese dell'acqua: appena ebbe finito di bere, perse conoscenza.
Aveva 32 anni e aveva regnato
meno di venti mesi: con lui, moriva l'ultimo eroe greco.
Salustio rifiutò la
successione e allora la porpora fu concessa a Gioviano. Questi stipulò con
Sapore la pace, con la quale i Romani cedevano ai Persiani cinque province e le
piazzaforti di Singara e di Nisibi. Fu ripresa la ritirata durante la quale
incontrarono finalmente l'armata di Procopio: questi fu incaricato di portare
fino alle porte di Tarso la salma che, secondo le volontà di Giuliano, fu
sepolta in un mausoleo a fianco di un piccolo tempio sulle rive del fiume
Cnido. Di fronte, sorgeva la tomba di un altro imperatore, Massimino Daia.
L'anno dopo, Gioviano passò
per Tarso e fece incidere un'iscrizione sulla pietra sepolcrale:
«Dalle rive dell'impetuoso
Tigri, Giuliano è giunto a riposare qui, al tempo stesso buon re e guerriero
coraggioso »
Anni dopo, il sarcofago fu trasportato
a Costantinopoli e sarebbe tuttora conservato nel Museo Archeologico della
città.
POST-MORTEM
Purtroppo le riforme di
Giuliano non ebbero successo a causa del suo breve regno.
Alla morte di Giuliano
(durante la battaglia di Maranga, Mesopotamia, 26 giugno 363) i cristiani,
oltre a rovesciare altari e a distruggere templi, avviarono la demolizione
della figura dell’imperatore.
Durante il Romanticismo venne
considerato un personaggio romantico ante litteram, spirito lucido e disperato.
In effetti l’imperatore
Giuliano fu un personaggio illuminato, il suo regno, se pur breve, fu
contraddistinto dalla completa tolleranza verso qualsiasi confessione religiosa
e dall'intransigenza verso l'abuso di potere della Chiesa e il fanatismo dei
fedeli cristiani, cercò se pur invano di portare armonia e serenità
nell’Impero.
A Giuliano succedettero prima
Gioviano e poi Valentiniano I, nell’Impero d’Occidente, e il fratello Valente
nell’Impero d’Oriente. I quali pur mantenendo una politica di tolleranza
religiosa, abolirono gli emendamenti di Giuliano, e quindi il tentativo stesso
di ripristinare la religione pagana.
La notizia della morte di
Giuliano provocò gioia tra i cristiani. Gregorio l'annunciò trionfante:
«Udite, popoli! [...] fu estinto il tiranno
[...] il dragone, l'Apostata, il Grande Intelletto, l'Assiro, il comune nemico
e abominio dell'universo, la furia che molto gavazzò e minacciò sulla terra,
molto contro il Cielo operò con la lingua e con la mano».
Pari fu la costernazione tra i
suoi seguaci, che in gran parte si dispersero e cercarono di farsi dimenticare.
Libanio, che abitava ad Antiochia, in un primo tempo temette per la propria
vita ma la considerazione di cui godeva la sua virtù di letterato gli risparmiò
pericoli e offese. Prisco si ritirò ad Atene, Massimo d'Efeso, diffidato dal
proseguire le sue attività teurgiche, fu prima multato e, qualche anno dopo,
decapitato. Il medico Oribasio se ne andò tra i Goti ma poi la fama della sua
perizia medica lo fece richiamare in patria, dove visse onorato e rispettato,
Seleuco, Aristofane e Alipio perdettero i loro incarichi. Tra gli altri,
Claudio Mamertino, pur autore di un panegirico dedicato a Giuliano, e Salustio,
entrambi valenti amministratori, conservarono i loro incarichi.
I cristiani, oltre a
rovesciare altari e distruggere templi, avviarono la demolizione della figura
di Giuliano: le orazioni di Gregorio, ammirevoli per vigore polemico, ma
deprecabili per la parzialità dei loro assunti, registrano, tra l'altro,
l'accusa di segreti sacrifici umani. Nella sua Historia Ecclesiastica Teodoreto
di Cirro s'inventa che Giuliano abbia raccolto con le mani il sangue uscito
dalla sua ferita e l'abbia alzato al cielo gridando: «Hai vinto, Galileo!».
Filostorgio scrive invece che
Giuliano dopo aver raccolto il suo sangue con le mani lo lanciò verso il Sole
gridando «Korèstheti», «Saziati!» e maledicendo gli altri Dei «cattivi e
distruttori».
NEL MEDIOEVO
Nel Medioevo si accentuarono
le leggende: s'inventò l'esistenza di un san Mercurio che avrebbe ucciso
Giuliano, ora su ordine di Cristo, ora della Madonna, e venne reso protagonista
di episodi raccapriccianti di squartamento di bambini e di sventramento di
donne incinte. Nel XII secolo, a Roma, si mostrava ancora la statua di un fauno
che avrebbe persuaso Giuliano a rinnegare la fede cristiana, mentre nel XIV
secolo fu composta una rappresentazione edificante nella quale san Mercurio
uccide l'imperatore ma, in compenso, il retore Libanio si converte, diviene
eremita, si fa accecare e poi viene guarito dalla Vergine Maria.
ETÀ MODERNA
Durante il Romanticismo venne
considerato un personaggio romantico ante litteram, spirito lucido e disperato
Voltaire - ricordando le
calunnie di cui l'imperatore fu ricoperto dagli «scrittori che vengono chiamati
Padri della Chiesa» - giudicò Giuliano «sobrio, casto, disinteressato, valoroso
e clemente; ma, non essendo cristiano, fu considerato per secoli un mostro [...]
aveva tutte le qualità di Traiano [...] tutte le virtù di Catone [...] tutte le
qualità che ammiriamo in Giulio Cesare, senza i suoi vizi; ed ebbe anche la
continenza di Scipione. Infine, egli fu in ogni cosa pari a Marco Aurelio, il
primo degli uomini».
* materiale protetto da copyright 2016 - Associazione Italus Centro Studi
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MARGARET ALICE MURRAY
Calcutta 13 luglio 1863 - Londra 13 novembre 1963.
Nel 2013 ricorrono 50 anni dalla sua morte.
Fu egittologa e antropologa.
Margaret Alice Murray nasce a Calcutta
il 13 luglio 1863, morì a Londra il 13 novembre 1963.
Fu egittologa e antropologa.
Riconosciuta la sua indubbia
competenza come egittologa, Margaret Murray divenne però famosa in Gran
Bretagna come antropologa soprattutto a causa della sua ipotesi sul culto
stregonesco europeo.
I suoi studi antropologici si
concentrarono molto sul folklore europeo, che la portò alla presunta riscoperta
di una religione pagana precristiana, ritenuta da lei capace di sopravvivere
sottotraccia per millenni, dopo l'avvento del Cristianesimo come religione di
stato (IV secolo); una religione minoritaria e nascosta, che venne perciò
perseguitata nei secoli seguenti come stregoneria da parte della religione
ufficiale, soprattutto durante il periodo della cosiddetta caccia alle streghe.
Queste teorie vennero
pubblicate e sostenute dalla Murray attraverso un primo studio accademico,
Witch Cult in Western Europe del 1921 (Il culto delle streghe nell'Europa
Occidentale) e poi soprattutto nel 1933 dal libro Il Dio delle streghe,
concepito proprio in favore di un pubblico più vasto e che difatti divenne un
best seller. Questa tesi della Murray ebbe un enorme successo in Gran Bretagna
per oltre trenta anni, dove il paese era già da tempo pronto ad accogliere
tutto ciò che riguardava il paganesimo, il ritorno alla natura e le tradizioni
folkloriche.
La tesi della Murray era
incentrata sul culto sincretico di un Dio Cornuto, da lei ritenuto centrale per
un culto delle streghe, già anticipato in precedenza già da Jules Michelet in
La Sorcière (1862); queste idee furono espanse da Margaret Murray nel The
Witch-cult in Western Europe (Il culto delle streghe nell'Europa Occidentale,
1921), che avanzò l'ipotesi di un culto pagano unico sopravvissuto all'avvento
del cristianesimo. Da allora molti importanti aspetti della tesi sono stati
screditati e l'idea di una resistenza pagana clandestina altamente organizzata
che persisteva nel periodo pre-moderno è considerata una fantasia (anche se
fonti storiche dimostrerebbero il contrario per alcune regioni d’Europa).
La tesi della Murray sulla
stregoneria venne quindi in buona parte smentita a partire dagli anni '60, in
seguito a degli studi più rigorosi.
Nonostante la diffusa
disapprovazione per queste tesi, va però sottolineato che alcune delle sue
intuizioni sono considerate ora corrette e la maggior parte degli storici della
stregoneria concordano che le credenze e le pratiche originarie del paganesimo
sopravvissero nell'età pre-moderna e che il conflitto tra tali credenze e il
cristianesimo aiutò ad accelerare la caccia alle streghe in Europa. Per
paradosso fu proprio l'opera dell'inquisizione cristiana a raccogliere ed
appiattire dentro un unico fantomatico culto diabolico, tutte le variegate
sopravvivenze di origine pagana che andava perseguitando ed estirpando.
In ogni caso, le tesi della
Murray ebbero comunque un enorme impatto, sia a livello accademico che sociale,
tanto che venne presa tra i "miti di fondazione" della Wicca e in
generale di tutto il movimento del Neopaganesimo.
Alcune sue opere
Saqqara Mastabas (1904)
Elementary Egyptian Grammar (1905)
Elementary Coptic Grammar (1911)
The
Witch-Cult in Western Europe (1921) (Il culto delle streghe nell'Europa
Occidentale)
Excavations in Malta, vol. 1-3 (1923, 1925, 1929)
Egyptian Sculpture (1930)
Egyptian Temples (1931)
Cambridge Excavations in Minorca, vol. 1-3 (1932, 1934, 1938)
The
God of the Witches (1933) (Il Dio delle Streghe)
Petra, the rock city of Edom (1939)
A
Street in Petra (1940)
The
Splendour That Was Egypt (1949)
The
Divine King in England (1954)
The
Genesis of Religion (1963)
My
First Hundred Years (1963)
*materiale protetto da copyright 2016 - Associazione Italus Centro Studi